IL “DIVORZIO” TRA REGNO UNITO E UE È ALLE PORTE - I rischi senza un accordo commerciale entro la fine dell’anno

Ci sono voluti 32 mesi, due primi ministri e quasi 30 voti in Parlamento per portare a conclusione la Brexit, e la parte più difficile non è nemmeno iniziata. Con la fase uno a poco più di 72 ore di distanza, UE e Regno Unito, stanno già lavorando per la prossima serie di negoziati. Le disposizioni per il commercio tra le parti negli anni a venire saranno oggetto dei negoziati che si terranno durante gli 11 mesi di transizione.

Poiché la Gran Bretagna sta lasciando l'unione doganale dell'UE, che consente la circolazione delle merci senza dazi, tali colloqui dovranno includere un accordo commerciale. Il primo ministro britannico ha affermato di voler una soluzione rapida, offrendo uno scambio di merci libero da dazi e quote ma il presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha avvertito che un accordo globale è "sostanzialmente impossibile" entro la fine dell'anno. Ciò nonostante, come abbiamo spesso riferito, Johnson insiste sul fatto che non chiederà estensioni dei colloqui oltre la scadenza del 31 dicembre.

Tuttavia, una Brexit per cosi dire “spigolosa” potrebbe perturbare il Regno Unito, e allo stesso tempo anche le imprese dell'UE hanno molto in gioco. Un'analisi di Bloomberg sulle potenziali tariffe che il Regno Unito potrebbe imporre sulle esportazioni UE destinate alla Gran Bretagna, mostra che dei 301,2 miliardi di € di beni esportati nel 2018, circa € 47,3 miliardi (16%) sarebbero probabilmente esposti a nuovi oneri. Il totale dei costi aggiuntivi per i prodotti dell'UE ammonterebbe a quasi 5 miliardi di euro se le parti dovessere divergere bruscamente nel 2021 (fallimento dei negoziati).

Un elenco di tariffe compilato dal governo del Regno Unito l'anno scorso in preparazione ad una Hard Brexit, rappresenta ancora oggi un potenziale fallback. L'elenco comprende oltre 500 merci, dal formaggio alle gomme, che sarebbero soggette a tariffe e contingenti tariffari. I prelievi sono ovvimente progettati per proteggere i produttori britannici e le industrie chiave dalla concorrenza dell'UE.

La Germania è pronta a subire il colpo maggiore, con 18,8 miliardi di euro di beni potenzialmente soggetti a tariffe, suguita da Belgio, Spagna, Paesi Bassi e Francia e Italia con 2 miliardi di €.

A settembre 2019, 23 associazioni automobilistiche tra cui l'Associazione europea dei costruttori di automobili, che rappresenta i 15 principali produttori di veicoli con sede in Europa, hanno fatto un appello per un accordo con il Regno Unito che preservasse le attuali condizioni commerciali. I leader del settore hanno avvertito che se i negoziati fallissero questo causerebbe "uno spostamento sismico delle condizioni commerciali, con miliardi di euro di tariffe che minaccerebbero di influire sulla scelta dei consumatori e sull'accessibilità economica su entrambi i lati".

Altri settori che verebbero colpiti sono: tessile e abbigliamento, carne, latticini e ceramica. Le tariffe e le quote tariffarie del Regno Unito saranno soggette a modifiche in qualsiasi momento durante i colloqui o alla fine dell'anno se le due parti non raggiungessero un accordo.

Tuttavia, l'UE, con il proprio programma tariffario applicabile alle merci britanniche, sembra avere il sopravvento nei negoziati imminenti. La Gran Bretagna è infatti molto più dipendente dal commercio con l'UE che viceversa. Quest’ultima è la più grande fonte di importazioni per il Regno Unito. Più della metà del totale delle merci entrato nel paese dal 2013 proveniva dall'Unione.

Inoltre, seppur la City di Londra sia una “cash cow” in gergo economico, per il Regno Unito, entrambe le parti avrebbero molto da perdere nel caso di un'improvvisa interruzione dei servizi finanziari transfrontalieri. Sia i funzionari dell'UE che quelli britannici avranno priorità diverse post Brexit, ma nessuna delle due può davvero permettersi uno scenario no-deal.

 

Fonte: Bloomberg