LA PANDEMIA METTE A RISCHIO LA FUTURA POLITICA DI IMMIGRAZIONE DEL REGNO UNITO

L'emergenza nel Regno Unito sta dimostrando come l'economia e i servizi pubblici dipendano da lavoratori stranieri a basso reddito, sfidando le ipotesi dei piani post-Brexit del governo. Giustappunto, prima che il virus propagasse, il governo aveva pubblicato proposte per un sistema di immigrazione basato su punti il ​​cui scopo era quello di reprimere cittadini dell'UE in cerca di lavoro nel Regno Unito imponendo limiti rigorosi ai lavoratori stranieri a basso reddito.

A febbraio Priti Patel, Ministro degli Interni, aveva respinto le preoccupazioni delle società britanniche sul fatto che il nuovo regime avrebbe portato ad una carenza di manodopera, affermando che vi erano più di 8 milioni di britannici inattivi pronti a colmare tale carenza. Il problema principale risiede nel fatto che circa 6 milioni di questi inattivi sono da ricondurre a studenti, malati o persone che si occupano della propria famiglia.

Proprio in questo difficile periodo, i britannici hanno realizzato che, settori vitali come il Servizio sanitario nazionale, l'assistenza domiciliare, l'agricoltura e la trasformazione dei prodotti alimentari stiano funzionando in gran parte grazie a lavoratori a basso reddito europei (e non). L'economia britannica nel suo insieme è infatti strutturalmente dipendente da una grande forza lavoro importata che riceve una retribuzione minima per assumere il lavoro che la maggior parte della popolazione nativa non vuole fare. Anche il principe Filippo, in una dichiarazione, ha reso omaggio al personale e i volontari che lavorano nella produzione e distribuzione di alimenti, a coloro che mantengono attivi i servizi postali e di consegna e ai netturbini.

Ad oggi, il governo non sembra dare prova di ripensamenti sul fronte dell’immigrazione, così come, non vi è alcun segno che si piegherà ad un'estensione del periodo di transizione.

Fonte: The Financial Times