Svizzera
COP29, LA SVIZZERA VUOLE INCLUDERE CINA E RUSSIA TRA I PAESI CHE PAGANO PER LA C
La Svizzera vuole che anche i Paesi in via di sviluppo che generano molte emissioni di CO2 quali la Cina e la Russia paghino per la crisi climatica nelle nazioni più povere. La controversa proposta sarà presentata per la prima volta al COP29 che si apre oggi a Baku, in Azerbaigian. Sostituire una centrale a carbone con un impianto a energie rinnovabili, costruire degli argini per prevenire le inondazioni o promuovere tecniche agricole resistenti alla siccità: sono misure indispensabili per ridurre le emissioni di CO2 e adattarsi al cambiamento climatico.Questi interventi sono particolarmente urgenti nei Paesi più vulnerabili al riscaldamento globale, che spesso sono anche quelli che non hanno contribuito all’aumento delle emissioni e che non hanno le risorse per agire. Pensiamo ad esempio al Pakistan o alla Somalia. Una domanda sorge spontanea: chi deve finanziare la transizione verso una società a basse emissioni e soluzioni per una maggiore resilienza climatica in questi Paesi?La proposta svizzera di ampliare il pool dei Paesi donatori è una “risposta pragmatica” alla crescente urgenza dell’azione climatica, afferma Brurce Mecca del Climateworks Center dell’Università Monash, in Australia. “La sua forza sta nel riconoscere che la responsabilità per il clima non deve ricadere solo sui Paesi donatori tradizionali”, dice a SWI swissinfo.ch.Tuttavia, questo approccio non deve diluire le responsabilità storiche dei Paesi che hanno beneficiato maggiormente dell’industrializzazione alimentata dai combustibili fossili, sottolinea Mecca. “C’è il rischio che i Paesi più ricchi possano eludere i loro obblighi di finanziamento per il clima imponendo un onere eccessivo sulle economie emergenti quali la Cina, l’Arabia Saudita e potenzialmente sui Paesi a medio reddito”. Per Bertha Argueta di Germanwatch, un’organizzazione non governativa per lo sviluppo e l’ambiente, il modello svizzero ha il vantaggio di poter includere nuovi Paesi donatori una volta che questi avranno raggiunto le soglie stabilite di emissioni e ricchezza. “Questo eviterà la necessità di riaprire dei negoziati in merito nei prossimi anni”, dice. L’esperta s’interroga però sul reale intento della Svizzera. Numerose altre metodologie, spiega, valutano le emissioni in termini pro capite, il che escluderebbe la Cina. Studi più recenti hanno introdotto altri fattori rilevanti, ad esempio il livello di sviluppo di un Paese. Argueta sospetta che la Svizzera abbia elaborato una proposta avendo già in mente dei possibili Paesi candidati, per ragioni politiche, senza nominarli apertamente. Un altro difetto della proposta elvetica è la mancata considerazione della vulnerabilità ai cambiamenti climatici, secondo Imogen Outlaw del NewClimate Institute. Le economie emergenti si oppongono a una revisione della platea di Paesi donatori. Lin Jian, portavoce del Ministero degli Esteri cinese, ha detto che i Paesi sviluppati dovrebbero assumersi la loro dovuta responsabilità storica per i futuri accordi di finanziamento del clima, senza scaricare la responsabilità sui Paesi in via di sviluppo. La Cina, come altre economie emergenti, già finanza progetti per l’abbandono delle fonti fossili e l’adattamento climatico in altri Paesi in via di sviluppo. Lo fa però alle sue condizioni, nel quadro della collaborazione Sud-Sud. Tra il 2013 e il 2022, la Cina ha fornito in media 4,5 miliardi di dollari all’anno. A titolo di paragone, il contributo svizzero nell’ambito dell’UNFCCC è stato di 847 milioni di franchi (970 milioni di dollari) nel 2023. Il negoziatore elvetico Felix Wertli riconosce l’impegno finanziario della Cina e di altri Paesi in via di sviluppo. Tuttavia, non c’è trasparenza, dice. “Non sappiamo se si tratta solamente di prestiti o di finanziamenti vincolati a determinate pretese”. La proposta svizzera ha poche probabilità di successo alla COP29. Potrebbe però aumentare la pressione su alcuni Stati, incoraggiandoli a partecipare al finanziamento pubblico per il clima su base volontaria e a comunicare in maniera trasparente il proprio contributo alle Nazioni Unite, senza per questo rinunciare allo statuto di Paese in via di sviluppo. “A noi non interessa cambiare la classificazione dei Paesi”, dice Wertli. “Vogliamo solo che tutti i Paesi contribuiscano al nuovo obiettivo finanziario collettivo in base ai propri mezzi. Solo così potremmo ridurre le emissioni e limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C”. (ICE BERNA)
Fonte notizia: SWI - swissinfo.ch